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Nel Capitolo II del suo libro La Città degli Dei, pag. 44, in “Presentimento della morte e ritorno alle origini: il caso del principe Siddartha e degli imperatori Flavii”, Renato Del Ponte esprime il suo ideale di morte attraverso le parole scritte da Giuseppe De Lorenzo ne Gli ultimi giorni di Gotamo Buddha:

 

La tolleranza indoeuropea dei brâhmani della valle del Gange, mantenutasi inalterata fino ad oggi per tremila anni, permise il libero svolgimento dell’insegnamento di Buddho e dei suoi seguaci: mentre la intolleranza semitica dei farisei della valle del Giordano e le interferenze politiche portarono alle persecuzioni di Cristo e dei suoi discepoli. Quando i due Salvatori, l’uno ottantenne, l’altro appena trentatreenne, sentirono l’approssimarsi della loro fine, scelsero deliberatamente le sedi della loro morte: il primo avviandosi dal sacro Gange verso la sua terra nativa, alle falde del Himâlaya; l’altro dirigendosi a Gerusalemme, la città del Tempio, la sacra sede della razza ebraica. Ma quanto diverse furono le vicende e le chiuse dei due fatali cammini! L’ascensione di Gotamo verso le eccelse montagne nevose, lungo i grandi fiumi, attraverso le dense foreste, è tutta un’apoteosi della natura; in cui gli uomini, gli animali, le piante, le pietre, le nubi, i venti, i cieli e gli astri fanno a gara per onorare ed adorare il grande Savio che si estingue; finché il suo cadavere è arso con rito eroico sul rogo e le sue ceneri sono distribuite, perché su esse sorgano monumenti a memoria pei posteri. Invece il viaggio di Gesù si svolge in un’atmosfera selvaggia di odio e di rancore, in un’arida terra, tra i suoi tragici presentimenti e patimenti, tra il tradimento di Giuda ed il rinnegamento di Pietro, tra il bieco furore del popolo, aizzato dalla sinagoga, e la scettica equanimità del proconsole romano, fino all’orrendo supplizio della croce, che finalmente libera lo spirito del Redentore”.

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