RECENSIONE :
Mario Bernardi Guardi
Pubblicata su:
Il Borghese - Dicembre 2023
MARCO ROSSI
La grande finanza e l'occidente
I retroscena di una guerra sconosciuta
Edizioni Arŷa, Genova 2022,
pagine: 224 - € 25,00.
INTERVISTA A MARCO ROSSI - su finanza, occidente e capitalismo
MARCO ROSSI, 65 anni, toscano, docente di storia e filosofia nei licei, è uno dei più apprezzati studiosi italiani dell’opera di Julius Evola, con ricerche e saggi che gli hanno valso la stima di Renzo De Felice e la collaborazione alla sua rivista Storia Contemporanea. Ma i percorsi culturali di Marco Rossi si svolgono nelle più svariate direzioni e vanno dall’esoterismo nella cultura italiana tra le due guerre alla storia politica ed economica dell’Occidente, con particolare attenzione alle vicende del capitalismo e della finanza e al loro intreccio con la politica. Ne è testimonianza questo studio La grande finanza e l’Occidente - I retroscena di una guerra sconosciuta, ARYA editore, che, nomi, date e documenti alla mano, indaga sui “meccanismi” di una storia che va raccontata per aver chiaro “da dove” veniamo e “dove” stiamo andando (con tutti i “forse” del caso...). Ricordiamo che per le Edizioni del Borghese lo studioso toscano ha pubblicato nel 2020 Sintesi di storia d’Italia politicamente scorretta, di cui ci siamo occupati su queste pagine. Marco Rossi ci ha rilasciato un’intervista che potrà anche apparire “scandalosa” in certe sue affermazioni. Ma Il Borghese ha sempre fatto scandalo...
* Dalla tua ricerca mi sembra venga fuori che l’“assalto” della grande finanza all’Occidente parta da lontano...
È vero. Le cose sono maturate lentamente e occorre distinguere la storia delle diverse nazioni europee dalla grande finanza speculativa, che è un prodotto del sistema capitalistico. Occorre, comunque, risalire alla fine del XVII secolo per osservare la nascita delle prime strutture di una tale organizzazione. Chi vuol vedere origini millenarie e ancestrali vagheggia con la fantasia e dimostra di non conoscere nulla della realtà storica.
* In che modo prende forma e si struttura un’élite di banchieri, uomini d’affari, imprenditori che dà battaglia alle (cosiddette) istituzioni “tradizionali”, con l’obbiettivo di imporre una nuova e onnipervasiva Weltanschauung: quella della (cosiddetta) “modernità”, fino al turbo- capitalismo “assoluto”?
Occorre mettere in chiaro un fatto semplice ma fondamentale: in una società occorre che tutto sia comprabile col denaro, altrimenti il sistema capitalistico e la grande finanza non possono svilupparsi. Sappiamo infatti che grandi banchieri, commercianti internazionali e imprenditori di ogni genere hanno caratterizzato il Medioevo e il Rinascimento, e non solo in Italia. Tuttavia allora molte cose non si potevano comprare e un Asburgo rimaneva sempre un Asburgo anche se aveva tanti debiti con i Fugger e i Welser. Lo stesso valeva per la Chiesa i cui Papi potevano certo essere agevolati dalle ricchezze delle proprie famiglie: però, una volta sul soglio di Pietro, dovevano ragionare ed agire per il trionfo (magari sanguinoso) dell’Istituzione Sacra. Il nepotismo esisteva, ma serviva per le cose secondarie, della casa o della clientela. Così un Luigi XIV e ancora un Napoleone potevano certo servirsi di grandi banchieri e imprenditori, ma rimaneva prioritaria la sfera politica e militare. E questa restava nelle mani di una classe dirigente, che possiamo disprezzare, ma che, in ogni caso, gestiva il potere nell’interesse della Nazione e dell’Impero, mai solamente nell’interesse dei grandi capitalisti. Le cose cambiano, invece, soprattutto durante il XVIII secolo, nella Gran Bretagna, dove le due rivoluzioni del Seicento e la fondazione della celebre Banca d’Inghilterra promuovono la fusione degli interessi della borghesia capitalistica con quelli della nobiltà anglosassone. Così, all’insegna della conquista coloniale e commerciale del mondo (e della conseguente rivoluzione industriale) il Regno Unito diventa la prima efficiente postazione del capitalismo maturo e dunque l’alcova che ha visto nascere, crescere e prosperare la grande finanza internazionale. Ma la lotta è stata durissima e il capitalismo assoluto con la grande finanza internazionale ha dovuto combattere per altri due secoli prima di diventare il “dominus” dell’Occidente. Chi ricostruisce storie complottiste dove tutto è preordinato e collegato in un unico progetto segreto dice balle colossali e non aiuta a capire la potenza e la fragilità di quello che è successo sul serio nella storia europea e americana.
* Insomma, com’è che si è progressivamente realizzato questo dominio che è economico, politico, morale e che plasma la società e le coscienze?
I grandi imprenditori del capitalismo e i grandi banchieri sapevano di avere gli stessi interessi: trasformare il mondo in un grande mercato e possibilmente regolare la politica e la società secondo la loro Weltanschauung materialista ed economicista. L’obiettivo è dunque la conquista del potere. Da questo punto di vista la Tradizione è il nemico da abbattere perché ordina il mondo secondo gerarchie spirituali, religiose e politiche al di fuori e al di sopra dell’economia e della finanza. Ma i nemici del turbo- capitalismo finanziario sono anche i popoli, le varie comunità etniche, le secolari tradizioni dell’Oriente e dell’Occidente.
* Ci sono responsabilità e connivenze in chi avrebbe dovuto contrastarlo? Tu eviti di confezionare “santini”, come se da una parte ci fosse il Bene e dall’altra il Male, e, a partire dal ’700, non solo ti impegni ad individuare gli agenti della dissoluzione, ma ti sforzi di cogliere i molteplici intrecci che li legano ai paladini della (cosiddetta) Tradizione. Sbaglio o in questo che mi pare essere uno degli intenti– se non il principale– del tuo libro, tu tendi a smascherare non solo ogni sorta di “politicamente corretto”, ma anche l’immagine, per dir così, “mitica”, della società e delle istituzioni pre-capitalistiche?
Certo le istituzioni precapitalistiche avevano molti lati deboli e, ancor più contraddizioni, altrimenti, come hanno più volte sottolineato Evola e Guénon, non sarebbero crollate. Ma le connivenze si allargano a tutte le latitudini, dalla politica alla religione, per non parlare della cultura. Molti “soggetti” han trovato il modo di vendersi dietro il miraggio di una liberazione che altro non era che la sostituzione di nuovi sovrani assoluti, appunto i capi delle multinazionali, al posto di quelli vecchi, che invece tendevano a fare maggiormente l’interesse del loro regno che quello di una classe internazionale, apolide. Comunque le grandi sequenze del Novecento si possono sintetizzare in due macroscopiche mosse: la grande finanza prima distrugge il nemico principale, ossia il nazionalismo in ogni sua forma– dal fascismo al nazionalsocialismo– perché i regimi nazionalisti tendono a far gli interessi della propria terra, della patria, e non quelli dei grandi capitalisti apolidi; in seguito, dopo il 1945, la grande finanza cerca di distruggere l’altro contendente globale, appunto il comunismo, che, togliendo la proprietà privata, vanificava il progetto di conquistare il mondo. Dopo il 1989-91 e la fine dell’URSS, sembrava che fosse stata ottenuta la vittoria globale e definitiva, qualcuno addirittura cantava la fine della storia, e il turbo-capitalismo imperante terminò di svuotare le istituzioni liberal-democratche, lasciando le forme, le liturgie delle elezioni, ma svuotando i poteri dei parlamenti e dei governi attraverso il controllo assoluto della sovranità monetaria. Davvero, da questo punto di vista, il vecchio Pound aveva tutte le ragioni. Adesso, però, le cose stanno rapidamente cambiano e sembra tramontare il potere assoluto della grande finanza, che coincide con l’impero anglo-americano e con la NATO, come si può vedere in Ucraina, nello sviluppo dei BRICS (economie mondiali emergenti: Russia, Cina, India, Brasile) e nel tramonto dell’ecumene finanziario del dollaro.
* Nel vasto e articolato scenario che tracci, quali sono dunque i “punti fermi” che dovrebbero guidare i nuovi ricercatori con la mente non anneb- biata da questa o quell’altra ideologia?
Intanto, bisogna con responsabilità e chiarezza tornare al monito di Pound: se non si capisce nulla della sovranità monetaria, non si può fare storia contemporanea. Se il potere di stampare soldi si lascia a dei privati, questi, in un sistema capitalistico dove tutto si compra, comprano tutto: l’informazione (che diventa propaganda), la politica e persino l’Università. Abbiamo così una ristretta oligarchia finanziaria e non una liberal-democrazia. La sovranità monetaria deve invece possederla saldamente lo Stato e il suo popolo, altrimenti non esiste alcuna libertà. Uno Stato, certo, può sbagliare, ma lo fa guardando all’interesse collettivo, l’oligarchia della grande finanza invece agisce sempre nell’interesse al massimo dell’1% più ricco di ogni nazione, come hanno ben dimostrato Luciano Gallino e qualche altro sociologo. Da questo punto di vista, è perfino secondario il problema del sistema politico: dittatura, liberal-democrazia o autocrazia possono andar bene comunque, se però riescono ad eliminare l’influenza della grande finanza e del turbo- capitalismo internazionalista. In Italia, ad esempio, hanno agito bene sia il fascismo che la Repubblica democratica fino al golpe di Mani Pulite del 1992-94, che fu sponsorizzato dagli USA. In Libia Gheddafi ha agito magnificamente nell’interesse del suo popolo, così come Saddam Hussein fece l’interesse degli iracheni, così come oggi Putin, la classe dirigente cinese e quella iraniana cercano di fare gli interessi della propria nazione. Se non si capiscono queste cose, non si riesce a comprendere la “guerra mondiale” in corso. Anche in questo caso, è il “sangue” contro “l’oro”.
Mario Bernardi Guardi