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RECENSIONE :

Sandro Consolato

Pubblicata su:

ARTHOS 31 - 2022

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RENATO DEL PONTE 

Il grande Medioevo 

Saggi medievistici e rinascimentali

Edizioni Arŷa, Genova 2021

Pagine 256 - € 26,00.

Renato Del Ponte dagli anni Ottanta in poi si è reso particolarmente e meritatamente noto come studioso dell’antico mondo religioso italico-romano, ma pochi sanno che la sua originaria formazione è medievistica: proprio su temi medievistici, connessi alla sua tesi di laurea, e presenti in questo stesso lavoro che qui si recensisce, si può scoprire, ad es., come, ancora studente universitario, l’Autore interrogasse Julius Evola nella primissima lettera che gli scrisse, il 9 novembre del 1969. Coltivati poi con meno intensità, ma mai dismessi, gli studi medievistici delpontiani trovano ora evidenza grazie a questa raccolta di saggi che va dagli anni Settanta ai due decenni del nuovo secolo: qui ci si limiterà a riferirsi a quelli tra di essi più vicini agli interessi e alla sensibilità dei lettori di “Arthos”.

Il titolo del libro, Il grande Medioevo, è interpretabile in due modi, peraltro tra loro perfettamente compatibili. Il Medioevo può essere considerato “grande”per ampiezza cronologica (ricordiamo che la sua periodizzazione ‘classica’ va dal V al XV secolo), ma, soprattutto, per quella ricchezza spirituale e culturale su cui ormai, venuta meno la polemica di origine illuminista, vi è unanime consenso tra gli storici. Proprio per via dei termini temporali comunemente accettati, non deve stupire la presenza, nella raccolta delpontiana, di un iniziale saggio sugli ultimi neoplatonici del V-VI secolo, e poi, nella terza parte finale, di più studi sulla rinascita neoplatonica del Quattrocento. Ciò potrebbe anche indurci a dire che il Medioevo dell’Autore è chiuso in una cornice neoplatonica, dove la più alta eredità filosofica della tarda antichità si riaffaccia alle soglie dell’età moderna. Dettagliato e appassionante è il saggio su I “sacri percorsi” degli ultimi scolarchi e la funzione del sito di Harrân, che presenta il dramma e l’avventura di Damascio, Simplicio e altri sapienti dopo la chiusura della veneranda Scuola di Atene per opera di Giustiniano (529), illuminando l’importanza che ebbe il Medio Oriente ellenizzato, tra le odierne Siria e Turchia, nella trasmissione dell’antica sapienza pagana, che in quell’area riuscì poi a sopravvivere nella sua forma ‘sabea’ entro la nascente civiltà islamica, finendo per influenzare le correnti ermetiche e magiche dello stesso Occidente ‘latino’, nel Medioevo e nel Rinascimento. Di quest’ultimo, particolarmente trattata e valorizzata è la figura del greco Giorgio Gemisto Pletone, colui che nell’Impero bizantino morente per mano turco-islamica fece riemergere l’Aurea catena Platonis e ne trapiantò semi fecondi nell’Italia delle signorie, nella Firenze medicea rinascendo l’Accademia platonica, con il grande Marsilio Ficino. Di questa temperie, Del Ponte ci fa conoscere anche figure poco note e affascinanti come quella di Demetrio Raoul Kabakes, aristocratico greco-normanno del Peloponneso, conosciuto col nome grecizzato di Rhalles, ammiratore dell’imperatore Giuliano, di cui annotò l’Oratio IV in Solem. Di particolare valore sapienziale è poi lo studio sulla Primavera di Botticelli, opera di cui si afferma che l’interpretazione “è rimasta per secoli un enigma per gli studiosi” e “si configura come la pittografia di un vero e proprio ‘mistero pagano’ del Rinascimento e sintesi dell’ideale filosofico-mistico dei neoplatonici fiorentini” (p. 186). 

Passando al Medioevo in senso stretto, l’Autore non delude le aspettative del lettore sulla dimensione simbolica, esoterica e magica di quell’epoca. Troviamo così trattata la leggenda, ricca di suggestioni relative al trapasso dal mondo pagano a quello cristiano, del drago della grotta del Monte Soratte, domato da Silvestro I (quello della falsa ‘donazione di Costantino’), papa il cui nome si replicherà con quel Silvestro II (il ‘papa-mago’ Gerberto di Aurillac, connesso all’imperatore Ottone III e alla sua idea di renovatio romana), di cui viene invece segnalata la leggenda che lo voleva aiutato da una fata, dal cui nome, Meridiana o Marianna, traspare la ‘permanenza’ dell’antica Diana. In tema di simbolismo, da segnalare è lo studio su Il labirinto di San Pietro in Pontremoli nel pellegrinaggio simbolico del Medioevo, dove si evidenzia molto giustamente che nei periodi spiritualmente più alti della storia delle civiltà il labirinto ebbe sempre senso “iniziatico”, rappresentò “la peregrinazione dell’anima e la relativa palingenesi interiore”, fu “un segreto e un mistero” (p. 143), mentre “nei periodi orientati piuttosto al contingente (come nei giardini labirintici delle ville del Settecento europeo) il segno del labirinto e il suo uso appariranno sotto la parvenza frivola del ‘gioco’: desacralizzati, in attesa di nuovi risvegli” (p. 144). Notevole risulta poi l’ampio saggio sulla canzone Donna mi prega di Guido Cavalcanti, in cui l’analisi del testo è condotta tenendo in conto de “le correnti sotterranee presenti in molti degli autori del ‘Dolce Stil Novo’ e che al pensiero filosofico-religioso della paganità facevano riferimento, in particolare al platonismo, nonché a certe tendenze di carattere esoterico manifestatesi nella speculazione araba, in particolare nelle dottrine di Alfarabi, Avenpace e Averroè, che di Platone e dei neoplatonici, da Plotino a Giamblico, si era nutrita e che, dai territori iberici di tradizione islamica e dalle terre di crociata, per sottili contatti si era manifestata in Occidente in ambienti che, come quello dei ‘Fedeli d’Amore’, per motivi spirituali od anche politici (ripresi dal ghibellinismo) più erano preparati a recepirla” (p. 95). Di tali correnti, con un forte surplus magico, fece parte anche l’astrologo-poeta Cecco d’Ascoli, cui Del Ponte dedica uno studio relativo soprattutto alla condanna che lo portò al rogo nel 1327: “si può dire che in mezzo alle fiamme del suo rogo si sia consumato l’ultimo atto della tragedia del ghibellinismo italiano” scrive il nostro Autore (p. 114), che ricorda anche il contrasto tra l’Ascolano e l’Alighieri, così come l’ostilità rivolta a entrambi da papa Giovanni XXII, e però il destino postumo ben diverso dei due in rapporto alla Chiesa di Roma: “Dante, ‘eretico materiale’, sarà completamente riabilitato so-lo nel 1921, con la mirabile enciclica di papa Benedetto XV. Cecco, ritenuto ‘eretico formale’, non avrà nessuna riabilitazione, né la Chiesa ha mai chiesto scusa (così come per l’assassinio della vergine Ipazia, avvenuto novecento anni prima) per il suo immediato supplizio” (pp. 118-119). 

Dante, ovviamente, non poteva mancare all’appello tra i nomi del “grande Medioevo”. Se il suo nome ricorre in più testi della raccolta, espressamente a Lui è però dedicato il saggio su Il pensiero politico di Dante : “Nella Commedia dunque, dalla prima all’ultima terzina, traspare sempre una visione dell’Impero elevatissima e identica a quella già espressa nel Convivio e nella Monarchia […], e secondo la quale l’unico governo capace di assicurare libertà e giustizia, e quindi la pace, è l’Impero”: p. 88). Il tema dell’Impero, e del conflitto tra questa istituzione e il Papato, trova poi ampio spazio nei testi su Federico II di Svevia (considerato qui soprattutto per i suoi interessi scientifici e filosofici) e sul suo ministro Pier delle Vigne, la cui finale disgrazia, nella quale l’Autore non manca di vedere il regresso dell’imperatore svevo “verso l’animus barbarico dei suoi antenati germanici e normanni” (p. 70), “prefigurava in un certo qual modo, il fallimento del sogno senza pari concepito dallo Stupor Mundi” (p. 75). Del guelfismo, Del Ponte esamina alcuni documenti sulle relazioni tra autorità spirituale e potere temporale, mostrando come l’orientamento dei canonisti e dei decretalisti papali si fosse allontanato dalle posizioni di Gelasio I (fine del V secolo), ‘padre’ più di una separazione tra i due poteri, entrambi derivanti da Dio, che di una totale subordinazione del temporale allo spirituale quale sarebbe stata poi rivendicata dalla Chiesa. Di tale problematica si occupa lo scritto Un trattatista politico del ‘300: fra Guglielmo da Sarzano: segnalo che questo era l’argomento della tesi di laurea dell’Autore, accennato nella giovanile lettera a Evola cui ho fatto riferimento all’inizio. Fra Guglielmo, vicino al già citato, nefando papa Giovanni XXII (fu lo stesso papa che condannò il grande Maestro Eckhart), è stato ritenuto da alcuni studiosi in diretta polemica con il Dante della Monarchia nel suo De potestate, ma Del Ponte ritiene che dall’analisi dell’opera “nulla di concreto si può ricavare” (p. 131) che confermi una tale ipotesi. Il De potestate culmina nella dottrina secondo cui “la dignità regale e quella sacerdotale confluirono in parti uguali nei discendenti di Seth fino a Noè e da Sem fino ad Aronne: questa dignità, che fu anche in Melchisedech, risiede oggi nel successore di Pietro, vicario di Cristo, detentore di un potere che non conoscerà mai uguale” (p. 137).

In chiusura, vorrei far presente l’unico testo che ha qualche riferimento a problematiche in qualche modo di attualità. Nella parte ‘rinascimentale’ del libro, Del Ponte scrive brevemente ma significativamente della figura a lui particolarmente cara dell’umanista ‘pagano’ Pomponio Leto, chiedendosi (questo è il titolo stesso del saggio): È possibile una ‘Terza Roma’? Forse sì. L’Autore ricorda come Pomponio Leto fece parte della delegazione che nel 1472 accompagnò a Mosca, per il matrimonio con lo zar Ivan III, Zoe Paleologina, figlia dell’ultimo despota di Morea, Tommaso ‘Porfiriogenito’. Tale matrimonio, connesso alla politica antiturca di riavvicinamento tra mondo latino-cattolico e mondo greco-ortodosso, ispirato dal cardinale Giovanni Bessarione (sapiente ellenico già discepolo del ‘pagano’ Giorgio Gemisto Pletone, e ampiamente citato in altri saggi del libro), segnò l’accoglimento da parte di Mosca dell’eredità di Bisanzio (la “altera Roma”) col conseguente mito della ‘Terza Ro-ma’. Ora, nel testo si fa presente come, in precedenti occasioni, l’Autore si sia pronunciato criticamente verso l’idea di Mosca quale “terza Roma”, mentre ora si manifesta possibilista. Per Del Ponte il problema – questo deve essere ben chiaro – è d’ordine unicamente giuridico-sacrale, non ha nulla a che fare con questioni meramente ideologiche. In un suo altro saggio, egli ha messo in evidenza come il già cristiano Costantino fondò la sua nuova capitale con l’antico rito tradizionale, assistito da sacerdoti pagani, il latino Pretestato e il greco Sopatro, e ha peraltro ricordato che in latino l’aggettivo alterus, -a, -um vuol dire secondo in una serie comprendente solo due elementi, al contrario di secundus, -a, -um che comporta una serie di almeno tre (e i Romani non erano superficiali nell’uso delle parole, soprattutto in ambito sacrale e giuridico). Sennonché, poiché sappiamo che Pomponio Leto nei riti segreti della sua Accademia Romana, documentati dalle iscrizioni trovate nell’Ottocento nelle catacombe di San Callisto, si qualificava come Pontifex Maximus, Del Ponte esprime pur cautamente la possibilità di una qualche legittimazione ‘romana’ verso la Mosca di Ivan III. Ritengo che questa apertura delpontiana, che – è bene sottolinearlo – risale al 2019, fosse da collocarsi entro le speranze di un progressivo avvicinamento tra un’Europa più svincolata dagli USA e una Russia a vocazione europea nel senso migliore del termine: un avvicinamento oggi gravemente compromesso dalla guerra con l’Ucraina, la quale invece ha determinato una crescente alleanza di Mosca con Pechino e un ambiguo rapporto con la Turchia: le aspirazioni ‘romane’ della Russia non possono che essere legate a una sua occidentalità, per quanto geograficamente estrema, e possono essere tali solo se Mosca mantiene il suo storico ruolo di protettore della cristianità orientale contro i Turchi, così come quello di protettore del mondo mongolo e tibetano dalle invadenze cinesi. Le scelte attuali di Mosca, purtroppo, contrariamente a quel che pensano taluni ‘tradizionalisti’ di un filone ‘eurasista’, invaghitosi persino della Cina comunista, la allontanano pericolosamente da un legittimo ruolo di “Terza Roma”, per cui non ci si può che augurare un futuro ripensamento delle linee guida della geopolitica russa, e ovviamente della stessa Europa, in uno spirito che è stato pure quello dei tanti convegni annuali “Da Roma alla Terza Roma” tenutisi in Campidoglio ogni 21 aprile, e che hanno visto spesso come relatore lo stesso Renato Del Ponte. 

 

Sandro Consolato

 

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