JULIUS EVOLA
Etica Aria
Orizzonte tradizionale
Edizioni Arŷa, Genova 2018.
Pagine 96 - € 18,00.
“La gran parte delle crisi, dei disordini, delle disequazioni che caratterizzano la società occidentale moderna se, in parte, dipendono da fattori materiali, almeno in egual misura dipendono anche dal silenzioso sostituirsi di una visione generale della vita ad un’altra, da una nuova attitudine rispetto a sé stessi e al proprio destino, che è stata celebrata come una conquista, laddove essa rappresenta unadeviazione e una degenerescenza” (J. EVOLA, Fedeltà alla propria natura, in “La Vita Italiana”, marzo 1943, p. 79). Queste parole, vergate da Julius Evola oltre settanta anni fa, descrivono con penetrante lucidità la diagnosi di una crisi di cui l’Occidente vive forse oggi la sua fase terminale. Chi desiderasse saperne di più può leggerne in Etica Aria. Orizzonte tradizionale, a cura di Renato Del Ponte. Il volume, andato in stampa per la prima volta nel 1976, è giunto, nel 2018, grazie alla temerarietà delle Edizioni Arŷa di Genova, alla sua quarta edizione notevolmenteaccresciuta.
La raccolta si compone in tutto di quindici articoli, la maggior parte dei quali contengono riflessioni di carattere etico, mentre alcuni sono dedicati alla spiritualità della Roma antica. I contributi venivano licenziati da Evola nel lasso di tempo compreso tra il 1933 e il 1943, facendo la loro comparsa sulle colonne del quotidiano Il Regime Fascista, diretto da Roberto Farinacci – a cui lo stesso Evola avrebbe dedicato, molti anni dopo la morte del gerarca, un rispettoso ricordo, riprodotto in appendice al presente volume – e sulla rivista mensile La Vita Italiana di Giovanni Preziosi.
Come Renato Del Ponte osserva nella sua introduzione, l’arco cronologico in cui gli articoli si inseriscono corrisponde al periodo più fecondo della pubblicistica evoliana. Nello stesso torno di tempo, infatti, l’esoterista romano dava alle stampe alcune delle sue opere più rappresentative, tra le quali Rivolta contro il mondo moderno (1934), Il mistero del Graal (1937) e La Dottrina del Risveglio (1943).
Il frangente storico-politico affatto particolare in cui Evola si trovava allora impegnato, sembrava offrire presupposti favorevoli a una “ortopedizzazione” della coscienza moderna in senso tradizionale. Evola era convinto, infatti, che la rivoluzione fascista, date le sue premesse anti-liberali e anti-bolsceviche, potesse rappresentare una occasione storica irripetibile in vista della restaurazione di un ordine normale, a condizione però che il fascismo, da fatto politico e sociale, divenisse qualcosa di più, riuscisse, cioè, a riconnettersi a un piano superiore, di natura spirituale, attingendo a una visione generale della vita che orientasse le forze storiche in atto nella giusta direzione.
Da qui la scelta sapiente del curatore di attribuire alla silloge la titolatura che essa porta. “In sanscrito la radice ar, che sta alla base di ârya, cioè ario, evoca anche l’idea di muovere, di ascendere, di portarsi in alto”. Per etica aria o etica tradizionale deve intendersi allora quella regola di condotta, quello stile di vita atto a garantire all’uomo la possibilità di riconnettersi a un principio superiore. L’etica è perciò anche religione, nel senso etimologico di religio, proponendosi essa di connettere, ricongiungere l’uomo al principio impersonale o sovrapersonale che lo trascende.
“Il cardine dell’etica tradizionale è esser sé e restar fedeli a sé stessi”. La fedeltà alla propria natura, secondo il romano suum cuique tribuere, costituisce il principio che sta a fondamento della concezione organica, gerarchica e differenziata dello Stato, esemplarizzata nella Politeia platonica. Il mondo moderno, con la sua articolazione in classi, intese come gruppi omogenei sotto il profilo economico, ha alimentato l’individualismo, l’arrivismo sociale e il mito del self-made man, finendo per rappresentare la sovversione parodica dell’ordine normale, basato sul rispetto della vocazione a cui ogni uomo è predisposto dalla propria costituzione psicofisica.
Nella società tradizionale, ciascuno occupava la posizione che gli competeva e nel-l’esercizio delle proprie mansioni, fossero anche le più umili, non veniva mai meno quel senso di dignità che derivava dal compiere i doveri che erano propri dello stato – potremmo dire del luogo naturale – che si trovava ad occupare. L’appartenenza a questo o a quell’ordine, o casta, non veniva del resto subita come una tragica fatalità, ma veniva assunta come la conseguenza di una scelta, avvenuta prima della nascita, da attribuirsi al principio superiore da cui questa vita mortale promana.
L’etica tradizionale guarda infatti all’esistenza terrena come l’incarnazione di un ente spirituale che preesiste alla semplice individualità e le sopravvive dopo la morte, a patto che la persona ritrovi eroicamente la via che la riconnette al principio da cui proviene. La vita si offre dunque all’uomo tradizionale come missione o “milizia” in cui la parte migliore di sé si è impegnata e alla quale non è perciò saggio sottrarsi in modo violento (suicidio). Si tratta, al contrario, di compiere ciò che ha da essere compiuto, il che, per taluni, vorrà pur dire esasperare la vita come “prova”, domandando perentoriamente al destino di sciogliere il dilemma circa il senso stesso del vivere, forzando il limite di questa vita terrena, in azioni di guerra pericolose, oppure sfidando i ghiacci e le pareti dell’alta montagna. In questo senso anche lo sport, praticato in certe sue forme estreme, può recuperare il significato rituale che rivestiva presso l’antica Roma, dove i ludi erano considerati a tutti gli effetti res divinae, forme di culto che procuravano all’uomo “un metodo per scatenare attraverso l’azione forze ‘divine’”.
L’affermazione del principio sovrano della personalità, che Evola chiama “doppio” o animus, al maschile, “vero centro dell’essere umano”, “essenza stessa dell’umana personalità” sovraordinata all’anima, intesa quest’ultima come il semplice “io del corpo”, riflesso lunare e femminile dell’animus, riconosce nell’eroismo guerriero (portato fino all’estremo sacrificio, come attestato nell’antico rito romano della devotio, il cui spirito riviveva a distanza di secoli nell’eroismo dell’aviatore giapponese votato a morte certa), la sua via maestra. La guerra rappresenta dunque il luogo privilegiato della massima prova di sé, dove l’uomo può conquistare la propria immortalità attraverso lo scatenamento di forze trascendenti, a cui giustamente gli antichi attribuivano la vittoria sul campo di battaglia.
Non è estraneo a ciò il fatto che i trionfatori nell’antica Roma si mostrassero come immagini viventi di Giove capitolino. Altrettanto singolare è che il culto dei morti sia associato a quello degli eroi (i Santi del calendario cattolico), e che nella stessa settimana fatidica venga celebrata anche la vittoria dell’Italia nella Prima Guerra mondiale.
Ci sembra, infine, degno di considerazione il fatto che in epoca post-concordataria, Evola valutasse la religione cattolica come “l’ultima delle forme che ancora conservano un carattere tradizionale, portando ad un limite le possibilità di adattazione del principio tradizionale ad una età oscura e ‘umanizzata’”.
L’autore giungeva perfino a domandarsi fino a che punto la rivoluzione allora in corso potesse contribuire a portare alla luce “il contenuto tradizionale latente nel cattolicesimo” e, per altro verso, fino a che punto il cattolicesimo potesse contribuire a spiritualizzare le “energie rivoluzionarmente rinnovatrici”.
Le pagine che abbiamo qui presentato, contengono, tra i molti insegnamenti, un grande monito, del quale Evola era fermamente persuaso: occorre evitare di irrigidire e cristallizzare le idee tradizionali, chiudendosi in una concezione particolaristica ed esclusivista che alimenti l’antagonismo e lo spirito di fazione. Si deve altresì portare fino in fondo l’impegno preso con la propria tradizione, impegno che non può esaurirsi nell’accettazione e nell’obbedienza passiva. È richiesto un lavoro di profondità, volto “a penetrare quel che di una tradizione è veramente universale, eterno e incorruttibile, realizzando il vero scopo di ogni ordinamento tradizionale: l’integrazione effettiva delle più alte possibilità umane in una realtà trascendente”.
Igor Tavilla