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RECENSIONE :

Claudio Papini

Pubblicata su:

ARTHOS 19 - 2011

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RENATO DEL PONTE

Favete Linguis!

Edizioni Arya, Genova 2010, pagine 159, € 19,00.

 

Il prof. Renato Del Ponte ha pubblicato recentemente a Genova presso l'editrice Arya un libro di approfondimento “sulle fondamenta del sacro in Roma antica” dal titolo coerentemente significativo Favete Linguis! L'opera di riferimento è il suo volume La religione dei Romani (Rusconi, Milano, 1992) di cui occorre lamentare che non sia stato ancora ristampato, essendo nel suo genere un'opera che si è segnalata come significativa. Non può essere un caso che lo stesso autore riporti in Favete Linguis! la recensione di Pio Filippani Ronconi al testo del 1992. Favete Linguis! è composto da una serie di saggi che sono scanditi secondo il criterio della tripartizione (articolazione familiare agli indoeuropei). La prima parte dedicata alla Simbologia del sacro raccoglie quattro saggi: 1)”Favete Linguis!”. Note sul silenzio rituale e sui suoi simboli; 2) L'arcano potere risanatorio che dirozza la pietra (Valeria Luperca); 3) La misteriosa “finestrella” di Servio Tullio; 4) Giove Capitolino nello spazio romano. La seconda parte dedicata allo Jus Divinum raccoglie con precisa simmetria altri quattro saggi: 1) “Imperium”. Natura, origini e sviluppo del concetto; 2) Documenti sacerdotali in Veranio e Granio Flacco; 3) Roma e gli Indoeuropei dopo G. Dumézil; 4) La secessione dei plebei fra Giove e Cerere. La terza parte, infine, tratta di Origini, valori e tendenze: 1) Sulla riscoperta del Lupercale; 2) La concezione romana della vita e la necessità dell'Impero; 3) La statua e l'altare della Vittoria in Senato. Storia e significato; 4) “Tolleranza”, “convivenza” e “libertà”. Una questione antica per un futuro meno incerto.

L'autore stesso in una sintetica Nota bibliografica avverte che la raccolta degli scritti sopra elencati prende titolo dal primo di essi, appunto, Favete Linguis! e questo “vorrebbe costituire un invito e un ammonimento, se si vuole, ad avvicinarsi al mondo spirituale dell'antica Roma muniti del dovuto rispetto e della cautela necessaria per chi s'introduca in tale ordine di cose: il sacro”. Si tratta di “una serie di scritti e di interventi concepiti negli ultimi sei anni (2005-2010), molti editi ma alcuni inediti e molto recenti. Essi intendono collegarsi a quelli raccolti nel volume La città degli dèi. La tradizione di Roma e la sua continuità (Genova 2003), comprendente una più ampia e più antica serie di interventi (1980-2002)”.

Ora il Sacro e le sue simbologie così come il Diritto Divino presso i Romani (come d'altronde presso ogni altro popolo di elevata civiltà alle sue origini) rappresenta un sistema organico di ritualità ricco di esperienze esoteriche ed essoteriche secondo un equilibrio che caratterizza quel popolo segnalandolo nella sua potente originalità. Donde la convinzione di moltissimi studiosi secondo i quali conoscere (non in modo manierato) la religione di un determinato popolo è il mezzo migliore per conoscere quel popolo stesso con una profondità difficilmente eguagliabile per mezzo di altre realtà spirituali. La religione delle nostre origini (quella appunto Romana) e, dunque, le origini della nostra antica religione non rappresentano soltanto un'acquisizione di conoscenza genuina di quello che siamo spiritualmente stati ma anche un modo per riscoprire valori e comprendere per mezzo di un orizzonte antico (che vive accanto a noi come oscurato e dormiente) le tendenze in atto. Il libro del prof. Del Ponte è per un verso specialistico in un campo nel quale egli ha dato nel passato prove di rilievo in virtù della sua lunghissima esperienza di docente, di ricercatore e di studioso, per un altro si inserisce nel nostro presente aiutandoci a riflettere su contrasti antichi che si ripresentano nel nostro contesto spirituale ed ideologico, sottolineando come traumi del nostro passato spirituale non abbiano ancora ritrovato una loro composizione. Proprio nella terza parte (Origini, valori e tendenze) l'intervento su “La statua e l'altare della Vittoria in Senato. Storia e significato” e quello su “Tolleranza”, “convivenza” e “libertà”. Una questione antica per un futuro meno incerto, sono illuminanti per intendere appieno lo spirito del libro. Certamente va sottolineato che per quanto riguarda “La statua e l'altare della Vittoria in Senato”, tale antica controversia fra pagani e cristiani racchiude due diverse concezioni del rapporto religione politica. L'altare dinnanzi alla statua della Vittoria nell'aula del Senato di Roma, voluto da Augusto per celebrare la vittoria di Azio, era segno e simbolo del legame, anzi dell'unità delle due sfere su cui Roma dagli inizi aveva fondato la sua storia e l'aveva coronata con la formazione del suo immenso impero. L'altare era quindi una prova tangibile, per i pagani, di fedeltà all'imperatore e alla res publica e di lealtà verso la sua politica. I cristiani invece, pur obbedendo alle leggi e ottemperando ai doveri di tutti, si dichiaravano sul piano religioso cittadini di un regno che superava e trascendeva ogni realtà umana.

Dietro le due visioni del rapporto religione-politica si manifestano però due più ricche Weltanschauungen, che emergono nel corso della controversia culminata nel 384 con gli interventi di Simmaco e Ambrogio. “Non congruunt igitur vestra nobiscum” dice il vescovo di Milano e con queste parole non si riferisce solo ad una visione e a una prassi politica, ma anche alla concezione teologica e antropologica, al significato della presenza dell'uomo nella storia, che hanno distintamente i pagani e i cristiani.

Per i primi gli dèi sono funzionali alla civitas. Il sincretismo di tutte le fedi e di tutti i riti diviene un presupposto indispensabile per mantenere quella pace di cui nei secoli iniziali della nostra èra è il sostegno. L'appello alla tolleranza fatto da Simmaco ha origine da quest'esigenza. In siffatta visione che Simmaco esprime con accenti sinceri, tutto appare unitariamente concepito: il presente è la continuazione fedele del passato; il futuro, a sua volta, prosegue e si lega al presente, costruendosi mediante la conservazione del passato. “Praestate, oro vos, ut ea, quae pueri suscepimus, senes posteris relinquamus”, esclama in una sorta di supplica Simmaco. Punto di riferimento insostituibile, su cui pure Giuliano aveva insistito, sono gli instituta maiorum, il mos parentum, l'amor consuetudinis.

Ora, il movimento cristiano nel suo integralismo portò, per i pagani, alla rottura della pax deorum e arrecò grave nocumento a tutto l'impero. Certamente l'assolutezza dogmatica della visione cristiana è frutto, per certi tratti sicuramente originale, che scaturisce dalle trasformazioni in seno alle correnti religiose del giudaismo, in un periodo in cui quest'ultimo fu colpito da traversie legate all'arrivo di Pompeo che occupò Gerusalemme nel 63 a. C. fino alla guerra giudaica (67-70 p. C.) in cui si verificò la distruzione del Tempio e poi dalle conseguenze di tale guerra fino alla rivolta guidata da Simone bar Kosiba e alla distruzione di Gerusalemme (135 p. C.) che l'imperatore Adriano trasformò nella Colonia Aelia Capitolina. Lo nota piuttosto bene Hannah Arendt quando afferma che l'originario “concetto ebraico di elezione, identificando religione e popolo, vantando un rapporto eccezionale con Dio e quindi una posizione assoluta nella storia, ha introdotto nella civiltà occidentale, da un lato, un elemento di fanatismo altrimenti sconosciuto (passato in eredità al cristianesimo sotto forma di possesso esclusivo della verità), e, dall'altro, un elemento di orgoglio pericolosamente vicino alla perversione razziale.”

Adesso, tenendo fermo questo importante snodo della nostra storia nell'ambito dell'impero latino e greco, riconsiderandolo alla luce di ciò che è per noi contemporaneo, come non riconoscere nell'esegesi filologica del prof. Del Ponte, quella instancabile ricerca delle nostre radici che ricusa con acribia agevoli compromessi? E' la convinzione che gli antichi valori (greci e latini) non si sono mai spenti e che la loro luce continua, nonostante tutto, ad irraggiarci. Se per Nietzsche la concezione dell'eterno ritorno delle cose stesse era il pensiero più abissale che egli fosse stato capace di concepire, il sentire caratteristico della classicità non ha ancora abbandonato le nostre terre e quindi gli antichi Dèi possono ciclicamente ridestarsi dal loro sonno millenario essendo in grado di sostenere ancora una volta la loro imperitura battaglia, resi più forti dalla consapevolezza che il paganesimo, un tempo oscurato ma anche successivamente risorto, è consustanziale al suo antico avversario nel costituirsi fondamento della spiritualità dell'Occidente.

 

Claudio Papini

 

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