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RECENSIONE :

Gabriella Chioma

Pubblicata su:

ARTHOS 25 - 2016

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ROSANNA PERUZZO

La Dea volta al Maschile

ArÅ·a Edizioni, Genova 2016, 

pagine 168 - € 20,00

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È da sottolineare, innanzi tutto, l’originalità di questa accurata ricerca sulla Dea Minerva, la greca Pallade-Atena, la Glaucopide dea protettrice della sapienza, ma anche del lavoro femminile (aspo e fuso lo testimoniano), dea che come animale totemico ha la notturna civetta; dea non nata da grembo femminile, ma scaturita dalla testa di Giove, evento che la caratterizza nel suo aspetto androgino, alluso non soltanto dalla sua verginità, ma anche dalla corazza, dall’elmo, dalla lancia e dall’egida, a conferma di una sua “vocazione” al maschile.

L’analisi che Peruzzo fa della controversa natura e della simbologia legata alla dea attraverso una ricostruzione capillare delle ascendenze, in Atena rintracciabili, di antiche divinità arcaiche – come la fanciulla vergine Kora – che nella dea trovano tutte le loro molteplici ipostasi, costellate lungo un complesso intreccio di culti primordiali, alcuni risalenti ai misteriosi Cabiri, è quanto mai interessante e rivelatrice di una profonda conoscenza del cosmo mitologico, nonché degli innumeri mitologemi che da esso scaturiscono. Conoscenza che affonda nel complesso e ricco Pantheon delle divinità preolimpiche, soprattutto delle primordiali dee vendicatrici legate ad un atavico “diritto matriarcale”, il cui punto agglomerante è la figura arcaica della Grande Madre: miti intrecciati uno all’altro ed uno dall’altro interpendenti, collegati alle oscurità di Cronos; per approdare, infine, alle luminosità apollinea dell’universo olimpico con la dominante del folgorante Giove, padre, appunto, della conturbante Dea.

Tutto questo complesso e vasto percorso mitologico è ricostruito, con acribia, dall’Autrice ed espresso in uno stile alto ma godibilissimo anche per il lettore non specialistico. In questo humus culturale intenso, irrompe una straordinaria capacità, che potremmo definire di “riattualizzazione del mito”, immettendolo con un geniale salto, non solo qualitativo, ma anche temporale, nella modernità e perfino, come avviene in chiusa al libro, nella più attuale contemporaneità: pertanto il saggio viene a distaccarsi da opere apparentemente consimili dedicate alla ricognizione della classicità mitologica: sono, infatti, davvero insoliti e sicuramente anticonformisti e forse sconcertanti, per una mentalità pedissequamente accademica, gli accostamenti della simbolica mitica e degli Archetipi non solo alle moderne espressioni letterarie, ma anche a quelle artistiche più d’avanguardia, come quelle “filmiche”.

Consacrazione della “settima arte”, fattasi così veicolo non solo di sperimentate ricostruzioni storiche, definibili di “superficie”, ma anche, nella lettura che ne fa Peruzzo, di significati “profondi”, che attingono al substrato archetipico implicitamente connesso con complesse simboliche dell’Inconscio, sia personale sia collettivo, di matrice junghiana, spesso con chiari riferimenti, soprattutto per quanto riguarda la dinamica maschio-femmina, alle figure Animus ed Anima, uno dei punti chiave della dottrina dello psicologo svizzero.

Citiamo, ad exempla, l’indovinato riferimento al felliniano film La dolce vita, notando, nel personaggio di Silvia, egregiamente interpretato dalla Ekberg, che ne aveva veramente le physique du rôle «il perpetuarsi della forma archetipale della Grande Madre»; e scoprendo in altri aspetti e gestualità, soprattutto nell’emblematica scena dell’immersione nella Fontana di Trevi, indubbie componenti archetipiche.

Un altro accostamento, di sottile intuizione al mondo mitico, l'Autrice lo fa col film di Spike Lee (legato al regista Coppola), Miracolo a Sant’Anna, leggendolo in una scena ricorrente e forse solo apparentemente a carattere “riempitivo”, nella quale si vede un gigantesco soldato americano che trascina, in un tascapane, la testa di una statua femminile, che si interpreta in riferimento all’antico mito della “Dea irretita”, primo capitolo del suo libro, che ha in sottotitolo: «Sotto la corazza di Atena-Minerva ha continuato a vivere la Grande Madre di Samotracia». Ed ancora la testa di statua «è più simile alle arcaiche divinità del Latium Vetus, che a una Venere fiorentina».

Tali iniziali riferimenti, quasi input del saggio, offrono la chiave di lettura dell’intero lavoro sull’esegesi della figura della controversa e affascinante, nella sua ambiguità essenziale, Dea, che infine si rivela essere presente con postatizzazione in molti personaggi femminili del Rinascimento, come le “virago” – allora attributo elogiativo – appartenenti all’aristocrazia o al mondo della cultura, o ad entrambi, di cui è esemplificante figura Vittoria Colonna.

In citazione del libro, Les jardins du Songe, di E. Kretzulesco-Quaranta, ci si sofferma inoltre su uno dei testi esoterici più intriganti del Rinascimento,Hipnoerotomachia Polifili: sotto l’immagine della donna desiderata in sogno da Polifilo, la misteriosa Polias, infatti si adombrerebbe Minerva: «sarebbe “Polias” un epiteto di Minerva», quindi Polifilo, il “molto amante” secondo la lettura greca del nome, sarebbe esclusivamente un innamorato di Minerva, ossia della Sapienza. La presenza di Minerva in così ampi e variegati contesti sembra imporsi non soltanto nella sostanza letteraria, ma addirittura impregnare come postatizzazione, altri elementi simbolici presenti nel settore più squisitamente esoterico, cui appartiene l’emblematico anonimo scritto delle avventure amorose sognate da Polifilo, un gioiello della mistica della Rinascenza.

Nella sezione intitolata Pallade e il Centauro, l’analisi pare sconfinare decisamente in terreni esoterici, avendo come “parola di passo” l’intrigante e criptico dipinto del Botticelli, Pallas e il Centauro, dove la dea viene raffigurata accanto al mitico ibrido, in modo più seduttivo ed accattivante di quanto non appaia in altri esempi iconografici, quasi “ammorbidita” dalla grazia botticelliana. Benché Peruzzo giudichi a proposito della dea che: «inconsistente e privo di riferimenti mitologici è il suo relazionarsi col centauro», e consideri tale relazionarsi una “licenza” del pittore, tuttavia la impiega con sottigliezza dialettica come ottima chiave decrittante e soprattutto come elemento collegante alle varie leggende che circondano Lorenzo de Medici e la storia della sua famiglia. Per inciso, è da dire che in Botticelli non sia rara la tendenza ad introdurre simbolismi e riferimenti misterici nei suoi dipinti: citiamo La Primavera nonché l’altrettanto celebre Nascita di Venere, entrambi portatori di occulti significati. Evidente influenza delle atmosfere all’epoca imperanti nella Firenze medicea; oscillanti fra cristianesimo, misticismo, neoplatonismo, alchimia ed esoterismo. Tali influenze si palesano addirittura nella veste di Atena che il Botticelli “fiorisce” «di triadi di anelli intrecciati e naturalmente diamantati». Un evidente richiamo all’anello diamantato di Lorenzo il Magnifico; gioiello a valenza magica, già in se stesso simbolo dell’infinto, soprattutto emblematico nel diamante incastonato, analogo nel “taglio”, alla pietra filosofale e pertanto connesso con l’Alchimia.

Tracciato dall'abile penna dell’Autrice, si propone così un itinerario denso di riferimenti storici e sapienziali, nonché richiami a leggende e a fatti realmente accaduti, che costituiscono l’elegante sottotraccia di una narrazione originale che si dipana in più piani di lettura, offerti con un ritmo coinvolgente, nei quali vediamo la presenza archetipica della Dea divenire sempre più evidente, debordando dall’ambito strettamente mitico, per imporsi in varie ipostasi che giungono sino ai giorni nostri.

Nel capitolo I rivoluzionari francesi e le antiche religioni, si rintraccia nella figura di “Marianna-Libertà”, divenuta simbolo rivoluzionario e poi icona della Francia, una evidente ipostasi di Minerva, anche per il collegamento alla classicità del berretto, dai Francesi detto bonnet rouge, indossato dalla prosperosa Marianna; berretto derivante dagli antichi Frigi, adottato dai sanculotti francesi. 

Tuttavia: «Scarsa e distratta fu l’attenzione rivolta dai rivoluzionari alla condizione femminile», e si porta ad esempio il tragico destino della scrittrice O. De Gouges, autrice di una antesignana Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, che nell’epoca del Terrore le valse la condanna a morte per decapitazione: «per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso», come recitava la motivazione della pena. Episodio di discriminazione, che non fa onore ai rivoluzionari.

Ipostasi dell’archetipo di Pallade le troviamo ancora nelle “Vergini giurate” delle montagne albanesi: si tratta di donne che mediante il giuramento di preservare per la vita la verginità, rinunciando a vivere pienamente la loro femminilità, acquisiscono il diritto di indossare abiti e di usare nomi maschili, potendo vivere come uomini, indenni fra gli uomini in un’androginia artificiosa che riverbera la figura della Dea difesa nella sua castità dall’emblematica corazza, nonché dall’egida. Vediamo così aprirsi un ampio ventaglio aneddotico che porta in luce episodi poco noti quali l’esistenza nel comune di Montefoscoli (Pisa) di un tempietto neoclassico dedicato a Minerva «voluto dal nobile Andrea Vaccà Berlinghieri (1772-1826), in memoria del padre Francesco, medico molto conosciuto e stimato docente, come il figlio, nell’Ateneo pisano». I riferimenti coinvolgono nella puntuale ricostruzione storica anche il poeta arcade Labindo, il nobile fivizzanese Giovanni Fantoni, il cui epistolario contiene notizie sui personaggi delle famiglie Vaccà Berlinghieri e dell'architetto Castinelli, dei quali era amico. L’arresto, nel 1799, del Fantoni con l’accusa di cospirazione, poiché membro della “Società dei Raggi”, associazione segreta sorta per impedire l’annessione del Piemonte alla Francia, finì col gettare un’ombra sugli amici pisani, e col coinvolgere in un’allure cospiratoria anche l’archetipo di Pallade-Atena-Minerva, dedicataria del tempietto, costruzione forse d’ispirazione massonica.

In conclusione di questa nostra ricognizione sull’opera di Peruzzo, declinata su molte stratificazioni implicanti un’ampia gamma di scibile, ci pare interessante il protrarre sino alla più recente contemporaneità, vale a dire ai giorni nostri, l’attualizzazione dell’archetipo di Minerva, rintracciandolo perfino in talune provocatorie soluzioni pubblicitarie e nella società femminile attuale: nel brano intitolatolo Alcune riflessioni sui simboli “iniziatici” e la loro valenza, l’Autrice, riferendosi alle donne, scrive: «È giunto il momento di riprendere consapevolezza di sé ridisegnando ruoli e scopi esistenziali che non tendano a prevaricare quelli maschili». Ossia, distaccandosi dalla concezione del femminile un po’ grottesca e caricaturale tracciata dalle profetesse del vetero-femminismo, per ricalarsi invece in un’ottica “tradizionale”, in cui la contrapposizione maschio-femmina venga giocata su un concetto di “complementarità paritetica”, nella ricomposizione di una fondamentale armonia che Jung, sulla sottotraccia alchemica, definisce Coinciliatio oppositorum, consistente nella reciproca interazione degli scambievoli aspetti Animus-Anima: complementarità già presente nella Weltanschauung delle “Corti d’amore” provenzali, che già trovava in essa l’esclusione dell’elemento aspro della lotta sessista, nella ricerca e nell’attuazione, di una parità nella differenza. Differenza reciprocamente accettata e rispettata. Da questa riflessione scaturisce un continuum spirituale e sapienziale. Esso, benché ignorato dall’insipienza delle masse manipolate ed accecate dai mass-media e da ogni forma d’imbonitura populistica, rimane nella sua aristocraticità sempiterno e presente. Costituisce un’indivisibile ma reale scaturigine di energia psichica e spirituale, quanto mai necessaria in tempi di oscurità e di decadenza. Infatti, al progresso tecnologico non ha corrisposto un’altrettanto pari evoluzione spirituale, ma un imbarbarimento. Occorre riscoprirla e riattivarla anche attraverso opere di ricerca esemplari come questa: nella quale tra l’altro il rigore scientifico e filologico si fonde con una grande felicità di scrittura. Da leggere.


 

Gabriella Chioma

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